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mercoledì 13 agosto 2014

Bandiera palestinese e israeliana, Gap a Pizzarotti: "Equidistanti? Vuol dire essere complici"

Bandiera palestinese e israeliana, Gap a Pizzarotti: "Equidistanti? Vuol dire essere complici"

Bandiera palestinese dal Ponte delle Nazioni. Il Gruppo di Azione per la Palestina risponde al sindaco Federico Pizzarotti che aveva scritto un post su Facebook in occasione dell'aggiunta della bandiera della Palestina, di fianco a quella di Israele con in mezzo il vessillo della pace
L'immagine pubblicata sul profilo Facebook del Gap


Bandiera palestinese e israeliana, Gap a Pizzarotti: "Equidistanti? Vuol dire essere complici"
Bandiera palestinese dal Ponte delle Nazioni. Il Gruppo di Azione per la Palestina risponde al sindaco Federico Pizzarotti che aveva scritto un post su Facebook in occasione dell'aggiunta della bandiera della Palestina, di fianco a quella di Israele con in mezzo il vessillo della pace. Gli attivisti: "Essere equidistanti significa sostenere l'occupante e divenirne complici". 
LA NOTA DEL GAP DI PARMA. I simboli hanno un significato… che non può essere ignorato. In primo luogo vogliamo esprimere la nostra soddisfazione per il fatto che nella nostra città finalmente sventola la bandiera palestinese, simbolo di un popolo coraggioso e indomito di fronte all’ingiustizia e all’occupazione militare israeliana. Siamo contenti, in quanto tutti i sostenitori del sionismo e dello stato di Israele hanno sempre tentato di nascondere l’esistenza stessa del popolo palestinese, che da più di 66 anni deve resistere di fronte al tentativo di pulizia etnica e di genocidio: innalzare ufficialmente la bandiera palestinese significa infatti riconoscere il suo popolo, la sua storia e, soprattutto, i suoi diritti. Rappresenta dunque un atto simbolico, che ai più forse passerà inosservato, ma dal significato importante e notevole, soprattutto se interpretato come un passo verso la diffusione di una coscienza collettiva forte e condivisa, schierata, partigiana. Questo piccolo risultato è stato raggiunto attraverso l’impegno e la mobilitazione di tutte le organizzazioni e i militanti vicini alla causa palestinese, che con le loro iniziative e dimostrazioni hanno portato la Palestina nel dibattito cittadino, mostrando che non tutti nella nostra città rimangono impassibili di fronte al massacro, di fronte all’occupazione, di fronte al razzismo intrinseco nell’ideologia sionista. Tuttavia rimangono aperte alcune questioni che non devono essere tralasciate, e che anzi meritano di essere pubblicizzate e approfondite, per comprendere appieno l’argomento. In particolare ci riempie d’indignazione il fatto che la bandiera palestinese sia stata affiancata alla bandiera israeliana ( simbolo di uno stato razzista e guerrafondaio, oppressore diretto del popolo palestinese), distanziata solo dalla bandiera della pace, come a dire: la carneficina di Gaza ci scandalizza, le foto dei bimbi massacrati ci nauseano, i bombardamenti sono disdicevoli…ma nulla più. Siamo equidistanti noi… Oltre tutto ci pare evidente come l’affiancamento tra la bandiera della pace e quella sionista sia una palese contraddizione, dal momento che Israele continua impunito da 66 anni l’occupazione militare della Palestina, si è macchiato di delitti atroci ed ha fatto e continua a fare tutto ciò per raggiungere la pulizia etnica della Palestina. Queste sono cose che non possono essere ignorate, né falsificate: sono pezzi di storia, sono date, luoghi, elenchi di persone massacrate, villaggi distrutti, violazioni continue dei diritti umani; sono la faccia dello stato sionista d’Israele, che si può permettere, nel silenzio complice dei nostri governi, di rifiutarsi di accettare le risoluzioni dell’Onu a favore dei palestinesi, sempre disattese.
Noi stiamo col popolo palestinese, che ancora aspetta il momento della sua liberazione, con la stesso ardore e determinazione dei nostri nonni, che settant’anni fa combattevano nelle montagne e nelle città l’occupante nazista, per costruire una società in cui la giustizia fosse la garanzia di una vera e duratura pace. Lo sosteniamo e condanniamo Israele, stato razzista e occupante una terra che non gli appartiene; non vogliamo dunque che siano messi sullo stesso livello, in quanto la situazione odierna purtroppo li pone su due piani antitetici: i palestinesi sono il popolo oppresso, schiacciato dalla macchina da guerra e d’apartheid sionista, espressione del governo oppressore di Tel Aviv. Le cose vanno dette come stanno; proprio ora che riprendono i bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza, non possiamo tollerare la bandiera israeliana, tantomeno affiancata da quella della pace. Vogliamo continuare a rimanere umani. Senza giustizia nessuna pace. Col popolo palestinese! Fino alla vittoria!

In conclusione ci permettiamo di rispondere a Federico Pizzarotti, Sindaco di Parma a “Cinque Stelle”, che aveva lamentato il fatto che “da qui non potessimo lavorare per la pace in Palestina”, non avendo “né la capacità né le competenze”. Posto che capacità e competenze si acquisiscono con l’interesse, l’informazione e la passione, ci permettiamo di indicare alcune azioni concrete per “lavorare per la pace in Palestina”: 
-chiedere al Governo Italiano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano in Italia. -chiedere al Governo Italiano di interrompere la vendita di armi ad Israele. 
-chiedere al Governo Italiano e alla Regione Emilia Romagna di interrompere gli accordi commerciali esistenti con Israele. 
-aderire alla Campagna Internazionale “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. 
-escludere dai bandi comunali le aziende che partecipano all’occupazione militare, ad esempio la Pizzarotti S.p.A., che sta costruendo un treno ad alta velocità che attraversa i territori Palestinesi, pur essendo riservato solo agli israeliani. 
-togliere la bandiera israeliana fino a che continuerà l’occupazione, l’inosservanza dei diritti umani e il tentativo di genocidio a Gaza.
-chiedere all’Università di Parma di interrompere ogni scambio con istituzioni israeliane, invitando al contrario a collaborazioni con scuole ed università palestinesi. Questi sono solo alcuni esempi, quello che è fondamentale è la volontà di prendere posizione ed agire, per non essere indifferenti, per rimanere umani


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Il sindaco di Parma cita "La città futura" di Gramsci alla manifestazione del 25 Aprile. Non potevamo rimanere "indifferenti".

               IL GRUGNITO DEL MAIALE
Odio gli indifferenti scriveva Gramsci, ma a qualcuno non è ancora chiaro che per lui la categoria degli indifferenti racchiudeva in se anche altre categorie come ad esempio gli abulici, i parassiti, i vigliacchi, ma soprattutto i non più umanamente vivi. Gli indifferenti cioè coloro i quali si nutrono di quel poco che il potere lascia volontariamente cadere, miserabili briciole per miserabili esseri. Già indifferenti è anche miserabili. Lasciando che poche mani, nell’ombra, non sorvegliate da nessun controllo, tessano la tela della vita collettiva e i molti, abulici, vigliacchi, miserabili e indifferenti si nascondono all’ombra di quella tela, vivendo, disperati, nella speranza che un giorno anche loro, o magari qualche loro discendente, possa essere parte di quelle mani: un unghia, un dito o un pezzo di pelle e godere dell’arte della politica. Ed è chiaro che quelle mani altro non sono che un insieme geneticamente caotico di parassiti, opportunisti, vigliacchi, arraffatori, intrallazzisti, grugnanti maiali, indifferenti che il loro agire sacrifichi altri esseri alla povertà, alla disperazione dell’abbandono. Adesso che la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento e che sembra che sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi fingeva di non sapere, chi era stato attivo e chi, indifferente, il maiale appunto, grugnisce ancora più forte, si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. E grugnisce ebete: “……L’indifferenza la si vede nei comportamenti scorretti o francamente illegali, ma anche nei gesti più piccoli e apparentemente insignificanti. Chi non paga le tasse, chi non rispetta le regole, anche quelle più piccole e di convivenza, chi degrada e sporca le pareti della nostra città, chi getta la carta per terra anziché usare il cestino, chi lascia la macchina in doppia fila, chi non paga i biglietti dell’autobus, chi non fa le fatture. Se tutti facessimo la nostra piccola parte nella società, se odiassimo l’indifferenza, vivremmo in una società più giusta per tutti….” Eccolo il frutto di vite indifferenti, disperatamente vissute nella speranza di arrivare, un giorno, a tessere la tela della collettività, umani morti nel tragitto, rinati maiali la cui consistenza è pari al grasso di cui si nutrono. Ma non basta: “…..Il 25 aprile deve essere per noi, naturalmente, anche un giorno di festa e di memoria, in cui ci ripromettiamo di lasciarci alle spalle gli odi razziali, la violenza dell’intolleranza, la dittatura del più forte, le disuguaglianze sociali. Ma vorrei che fosse il giorno in cui ci lasciamo alle spalle anche l’indifferenza. La nostra Parma è una città che non è mai stata indifferente, la medaglia d’oro al Valor Militare per la Resistenza ne è la più viva testimonianza….” Può il maiale farsi una colpa di essere stato un tempo umano, può ammettere che la sua indifferenza lo ha trasformato nel grasso rancido di cui si è nutrito? No! Grugnisce ebete, ignorante, pusillanime e sporca di fango e feci tutto ciò che tocca, ammantandosi di valori che ha di fatto disconosciuto e che non sono mai appartenuti a chi quelle mani, a cui si è venduto, anima e muove.

“Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione…..”
Ad Antonio Gramsci 

lunedì 11 agosto 2014

Report dal campo estivo: 10 agosto, secondo giorno

10501801_10152185085377624_523588660350067643_nDomenica 10 Agosto, secondo giorno di campo estivo

Il numero dei bambini è aumentato notevolmente oggi!
Il centro Amal al Mustaqbal questa mattina ha ospitato circa 60 bambini di età compresa tra i 3 e 12 anni; le maestre li hanno divisi in gruppi ciascuno dei quali prende il nome di una città o di un quartiere della striscia di Gaza, ovvero  Rafah Shujaia Khuzahaa Jabalia.
Questi sono i luoghi scelti che ogni mattina vengono ricordati con un canto di incitamento assegnato ad ogni gruppo che esprime tutta la vicinanza alla popolazione della Striscia.
Tra le varie attività i bambini con l’aiuto delle insegnanti hanno costruito un legame seppur simbolico con i coetanei gazawi tramite lettere e disegni.
È interessante notare come riescano a dedicare in modo così tanto sentito questo momento a quei bambini e a quelle persone a cui la brutalità dell’occupazione tenta di ostacolare ogni tipo di contatto: ma la solidarietà tra palestinesi va oltre le barriere imposte da Israele ed ogni minuto trascorso con un bimbo di Aida rende te alunno e loro insegnanti.
Parti di questi momenti saranno raccolti in un video che verrà realizzato durante tutta la durata del campo estivo.
I bambini inoltre hanno disegnato e poi ritagliato una cartina geografica della Palestina storica curata nei minimi dettaglia dinostrazione del forte attaccaento alla propria terra .
Una terra violentata che molti hanno deciso di difendere anche rifiutandosi di vendere o comprare prodotti israeliani.
Oggi a Betlemme alcuni compagni sono entrati in un negozio noto per la vendita di prodotti israeliani attaccando degli adesivi che invitavano al boicottaggio, consegnando una lista dei gazawi feriti e ricoverati nell’ospedale di Betlemme. Inoltre alcuni ragazzi di Aida hanno bloccato un furgone che trasportava prodotti israeliani dell’ Etnuva e Nestlè destinati al campo profughi.
Nelle attività pomeridiane il muro esterno del centro Amal al Mustaqbal è stato imbiancato e su di esso, sotto le bandiere di Palestina, antifascismo e Euskal Herria è stata scritta un frase che da oggi tutti possono leggere:
WE ARE ALL GAZA – KULLUNA GAZA
Gli shebab dell’Aida camp
Amal al Mustaqbal Center
Radio Amal Rossa,

giovedì 7 agosto 2014

IMPERAE DOMINAE

Immediatamente dopo le rivendicazioni e le lotte degli anni ‘70 è cominciato uno dei periodi di reazione più violenti e forse più definitivi della storia. La borghesia capitalista, in quella fase storica, ha dovuto fare delle concessioni alla classe operaia, ma ha contemporaneamente strutturato e messo in atto una strategia che gli avrebbe permesso, nel tempo, non solo di recuperare il terreno perso in quegli anni, ma addirittura di andare oltre fin quasi a giungere ad una totale liquidazione dell’antagonismo classista storico. In una prima fase crea tensione e fomenta lo scontro ideologico con lo scopo di terrorizzare la popolazione, in una seconda fase attua la parte più devastante e tragica del suo disegno: distruggere quella coscienza collettiva in cui ogni singolo lavoratore salariato si riconosceva come appartenente ad una classe dominata. La borghesia è conscia che il suo esistere come classe non può prescindere dal mantenere una posizione di dominio: la lotta di classe gli è ben consona oltre che fondamentale per difendere la propria posizione di dominio. La strategia borghese è convincere la classe dominata che annullando il conflitto di classe si pone fine al terrore. E compie il suo piano: un'unica ideologia di potere in cui coesistono due nature: una è profonda, sostanziale e assolutamente nuova, l'altra è epidermica, contingente e vecchia. La natura profonda di questa ideologia reazionaria è difficilmente riconoscibile; la natura esteriore è invece ben riconoscibile, ma è uno specchietto per le allodole che catalizza l’attenzione solo nell’aspetto superficiale di questa ideologia reazionaria: una sorta di risorgere del fascismo, in tutte le sue forme, comprese quelle decrepite del fascismo mussoliniano e del tradizionalismo clericale-liberale. Questo aspetto della restaurazione è un comodo pretesto per spingere ad ignorare l'altro aspetto, più profondo e reale, che sfugge alle abitudini interpretative di ogni specie. Dunque la lotta di classe non è finita è stata abilmente occultata. E, infatti, ecco l'aspetto esteriore, di questa reazione rivoluzionaria, aspetto esteriore che si presenta appunto nelle forme tradizionali della destra fascista e clerical-liberale: questa reazione prima distrugge rivoluzionariamente (rispetto a se stessa) tutte le vecchie istituzioni sociali - famiglia, cultura, lingua, chiesa e poi, per poter adempiersi al riparo della lotta diretta di classe, si dà da fare per difendere tali istituzioni dagli attacchi della classe dominata. Ecco, dunque, il “luogo” dove si svolge, occultata, la vera lotta di classe: il varco attraverso il quale la borghesia fa fluire la sua ideologia nella coscienza di ogni singolo individuo annientandolo e riducendolo con inaudita violenza a strumento per la realizzazione di se stessa. La lotta di classe è in atto e il luogo dove il conflitto si svolge non è più manifestatamente, vista la disgregazione contrattuale, temporale e spaziale dei soggetti che entrano a far parte dei processi produttivi, il luogo “fabbrica”, ma nel Sociale inteso come momento e luogo dove la cultura si incarna è diventa realtà. Concetti come solidarietà, uguaglianza, libertà privati del loro valore politico diventano meri strumenti di annientamento delle coscienze, sovrastrutture atte a mimetizzare la vera struttura della società borghese fondata su un potere senza regole il cui scopo è di preservare proprietà privata e profitto attraverso l’esercizio del dominio dell’uomo sull’uomo. Porsi il problema da dove ripartire per rilanciare il conflitto sociale è doveroso scopo e ragion d’essere di ogni avanguardia politica. Se lo strutturale economico (fabbrica) diventa terreno impervio, il politico in questa fase, inteso come territorio fisico dove vive il proletariato, diventa essenziale terreno unitario ed unificante delle varie lotte, polo di aggregazione dei soggetti che compongono il nuovo proletariato, terreno dove ogni lotta è strumento di costruzione della coscienza rivoluzionaria, di alterità culturale e sociale, dove, quindi, ogni conflitto ha valenza solo nei termini di creazione di potenzialità eversive al potere borghese. Non si disdegna il raggiungimento di obbiettivi materiali, ma essi devono essere MEZZO e non FINE ULTIMO del movimento, altrimenti restano mero e puro “ribellismo” subalterno e non altero al dominio di classe o, peggio ancora, riformismo sindacalista privo delle potenzialità che caratterizzano una vera lotta di classe. Occupazione fisica e riappropriazione politica (della città-comunità della “ Polis”) come tattica per rendere ingestibile agli apparati istituzionali della borghesia l’agire del movimento di lotta. Senza una chiara progettualità rivoluzionaria ogni lotta è destinata alla sconfitta ed al rafforzamento del dominio borghese, chiarezza progettuale che ponga al centro la distruzione del capitalismo e dei suoi valori senza la quale, ribadiamo, ogni lotta, per quanto apparentemente aspra, è destinata alla sconfitta. Che fare, dunque? La politica del governo Renzi è quella della repressione e degli sgomberi, della cancellazione di ogni possibile luogo fisico e mentale di ogni antagonismo di classe. L’uso sistematico degli apparati istituzionali (magistratura, questura, istituzioni politiche locali) rende la conquista e la gestione di questi spazi liberati, “casematte” citando Gramsci, estremamente difficili. La presenza dei movimenti antagonisti uniti alle avanguardie operaie nel territorio della “Polis” (inteso come territorio fisico e politico) è strategicamente fondamentale e quindi se necessario, tatticamente, si utilizzano gli strumenti tipici della clase borghese: l’acquisizione legale di una sede, di un sito comune all’area antagonista inattaccabile secondo la legge dei padroni da dove partire per attaccare il territorio controllato dal Capitale con occupazioni veloci, incontrollabili, funzionali ad iniziative di lotta darebbe in primo luogo un chiaro e forte segnale politico e si renderebbe incontrollabile il territorio alle istituzioni borghesi creando un nuovo rapporto di forza dove il potere costituito viene messo sulla difensiva in continua ansiosa attesa dell’esplosione dell’antagonismo. Il valore politico di un agire così strutturato rovescia il concetto stesso di legalità: un luogo di aggregazione politica antagonista così costituito è legalmente inattaccabile. Un luogo che proclami pubblicamente e con fierezza il suo attivismo all’interno di un conflitto che è un conflitto di classe, nel quale confluiscano forze realmente antagoniste nel più totale e assoluto rispetto della propria autonomia nel suo percorso politico. Un luogo dove l’assemblea è sommatoria di conoscenze e coordinamento di comuni iniziative estranea a giochi di egemonia funzionali a qualcuno. Come avanguardie operaie, come comunisti, siamo fermamente convinti che solo la trasposizione del pensiero in azione fondata su una progettualità rivoluzionaria, con una chiara impronta di classe, con unità di intenti di tutte le componenti antagoniste e assolutamente estranei a qualsiasi velleità riformista porterà alla ricostituzione di un nuovo movimento di lotta del proletariato.
 PCL Parma Frida Kahlo
 Commissione Comunicazione e Propaganda

NOTE SULLA RICOMPOSIZIONE DEL CONFLITTO

                                                                            di Giancarlo Gardelli 

 Perchè vi sia conflitto nella visione storica marxista sono indispensabili alcune condizioni: A) luogo fisico riconoscibile (spazio-luogo di lavoro fisso) B) tempo (durata per la creazione di conoscenza) 1) dei soggetti operanti nello spazio-luogo di lavoro 2) della loro interazione con lo spazio-luogo di lavoro 3) della somma del processo di creazione di valore (processo produttivo) C) omogeneità contrattuale Nella fabbrica attuale ciò non è possibile vista la disgregazione contrattuale, temporale e spaziale dei soggetti che entrano nei processi produttivi. Per essere chiari coesistono contemporaneamente diverse tipologie contrattuali: 1) lavoratori a tempo indeterminato 2) soci lavoratori delle cooperative di lavoro e produzione 3) lavoratori a tempo determinato ( stagionali, interinali ecc. ecc.) 4) lavoratori esterni dipendenti di aziende dell'indotto Quindi in realtà la fabbrica moderna è un unità complessa al cui interno esistono lavoratori con dinamiche contrattuali di difficile unificazione. Dopo le lotte degli anni settanta a livelli internazionale è passata, da parte dei padroni, l'idea del "divide et impera" come scelta strategica per rafforzare la servitù di classe. Il lavoratore e spesso solo, o si sente tale, di fronte al padrone-capitale sempre più impersonale vista la connestione fra capitale finanziario e capitale produttivo. Ciò ha aumentato enormemente il potere "padronale" rendendo difficile la ricostruzione di quelle condizioni necessarie per il conflitto di classe e la nascita di un movimento di lotta operaio. Ma la contraddizione di Classe, fra Capitale e Lavoro, è più che mai vera e reale. La scomposizione operata dal Capitale acuisce il decadimento della Classe lavoratrice, perchè rende difficile la costruzione di un fronte unitario di lotta anticapitalista. Processo a maggior ragione più vero dato il comportamento sussidiario e funzionale al potere della triplice CGIL-CISL-UIL. Con la legge sulla rappresentanza sindacale si è tolta ogni possibilità di dissenso espellendo di fatto dalle fabbriche le avanguardie proletarie che rappresentano la base di quelle fasce di resistenza che sono punto di inizio del movimento di lotta operaia. Tutto ciò rende indispensabile porsi qualche domanda. La questione è: dove si trova il punto di aggregazione dei lavoratori se l'unita produttiva lo rende praticamente impossibile? Per capirci se prima della ristrutturazione degli anni '80-'90 esisteva un contratto di lavoro unificante per tutti ora non più: la fabbrica odierna è, di fatto, un assemblaggio organico di istanze diverse e apparentemente con interessi contrastanti o comunque con difficile comunicazione fra di loro visto le tipologie contrattuali differenti. Dove, dunque, trovare il filo rosso che crei conflitto di Classe unitario? Noi avanguardie crediamo che sia nel "politico", inteso come luogo di conflitto sociale il momento dove si può creare una riaggregazione unitaria del proletariato. Obiettivi come: il diritto alla casa, alla salute, all'istruzione, il diritto alla riappropriazione degli strumenti produttivi. Ma ancora lotta al fascismo come mano armata del Capitale, lotta al potere delle multinazionali come entità suppletive dello Stato, lotta contro lo stupro ambientale operato sempre ed ancora dal Capitale imperialista. Vertenze territoriali che si pongono come unificazione del proletariato, che ne superino le diversità contrattuali, ma che, a partire da lotte vincenti, delineano un nuovo conflitto di Classe. Noi crediamo che il Comunismo non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà debba conformarsi. Chiamiamo Comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Questa analisi non è e non vuole essere nè esaustiva nè definitiva essa ha solo lo scopo di porre domande all'interno di un dibattito, possibilmente di massa, che ponga la lotta al capitalismo come centro propulsore di acquisizione di nuova coscienza di Classe. L'obbiettivo è la costruzione di una azione rivoluzionaria che faccia rinascere un movimento di lotta proletaria contro l'oppressore Capital-Borghese. "....fino alla vittoria...oltre la vittoria..." 
 PCL Parma Sez. Frida Kahlo

GIUSTIZIA !

Al di là di chi a materialmente messo la bomba quel 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (tragici personaggi ispirati da ideologie neo-naziste, manovalanza a disposizione di persone “serie e importanti” portatori di una nuova forma di fascismo la cui natura profonda è di difficile comprensione), dove che sia la verità fra le decine di ipotesi e piste, vere o false cercando di dimostrare che l’assassinio di innocenti cittadini non fosse di matrice fascista, non è possibile non porre la Stato italiano sul banco degli imputati e non perché non a saputo difendere inermi cittadini, ma perché non lo ha voluto fare. Lo Stato italiano ha dimostrato in passato più e più volte e continua a dimostrare che non è nei suoi doveri la giusta amministrazione della res-publica ne la tutela dei suoi cittadini: lo Stato italiano ha dimostrato nel suo agire in passato e dimostra, nell’ agire presente di tutti i suoi apparati, che il suo dovere è tutelare gli interessi di una parte della popolazione italiana. Tutta la struttura statale, dal più piccolo e insignificante dei burocrati fino al vertice, il suo “Capo”, ha come improrogabile dovere garantire l’applicazione di falsi principi democratici dietro i quali si cela il diritto usurpato, di una singola parte della popolazione, di perseguire i propri interessi applicando l’unico infame principio in cui essa crede: il dominio dell’uomo sull’uomo e se ciò deve avvenire anche a prezzo della vita di innocenti cittadini, per “qualcuno” è cosa di poco conto se non addirittura necessaria.
Lo Stato italiano è colpevole di essere strumento tattico da applicare in una strategia più ampia volta a rendere inattaccabile l’esercizio del Potere da parte di pochi sulla moltitudine della popolazione. E’ uno scenario di lotta che vede sul campo di battaglia come unico attore una parte minoritaria della società e la stragrande maggioranza svolgere il ruolo di inerme vittima. Di tutte le stragi, da Milano a Bologna, l’apparato statale si è adoperato con tutte le sue forze, con tutti i suoi mezzi dispiegando tutte le possibili intellettualità professionali per dare pubblica denuncia di come e di chi ha messo in atto gli eccidi, ma di chi ha voluto e perché le ha volute le orribili stragi di inconsapevoli cittadini nessuna pubblica denuncia, nessun volto, nessun nome: il buio, appunto, della morte.
Ma lo Stato è anche l’insieme di quella stragrande maggioranza di possibili future vittime, cittadini di una nazione succube di una famelica ristretta minoranza (e come indicarla se non come fascista) e fin quando questa immensa massa di donne e uomini non dirà con forza e fermezza, nelle piazze e nelle strade d’Italia, ORA BASTA ! prendendo coscienza della lotta in atto e diventando anch’essa attore sul campo di battaglia e con la sua incommensurabile forza stravolga questo stato di cose, per le vittime di tutte le stragi non vi sarà mai vera Giustizia.

“…………..Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali…….a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti….e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome……

……Io so i nomi delle persone serie e importanti ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani oortanti che stanno dietro no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari…...”
In memoria di tutte le vittime innocenti di tutte le stragi nel Mondo
PCL Parma Frida Kahlo
< Lo Stato d'Israele è nato da un crimine contro l'umanità dal nome "Nakba", che fu un'operazione di pulizia etnica. E la base giuridica di tale Stato nasce su pregiudizi di carattere razziale.
Non c'è possibilità di autodeterminazione del popolo palestinese senza la dissoluzione e distruzione per via rivoluzionaria dello Stato sionista. >
Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL